“Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”
Con queste parole Roland Barthes fa comprendere al lettore de “la camera chiara”
tutta la soggezione che vive l’io fotografato. Che si parli di fotomodelli o di sposi o di amici, rimane vivo l’imbarazzo dell’essere fotografati o ripresi da una videocamera.
Negli anni abbiamo visto e conosciuto sempre più frequentemente coppie di sposi interessate ed emozionate all’idea di vivere il loro matrimonio, ma nello stesso tempo preoccupate della questione “fare le foto in posa”. “Siamo timidi”, “Non amiamo le pose”, “Vorremmo qualcosa di naturale”.
Tutte parole che ci hanno spinto sempre di più a far si che la discrezione diventasse il nostro strumento distintivo.
Lavorare in maniera discreta e silenziosa è sempre stato per noi importante e soprattutto affine al nostro modo di essere, nonché fondamentale per riuscire a tirare fuori il lato spontaneo ed emotivo delle coppie fotografate.
Un’altra fase molto importante per una migliore realizzazione del nostro lavoro è quella di conoscenza della coppia. Cerchiamo sempre di conoscere personalmente la coppia e di entrare in sintonia, questo è importante per permettere a noi autori di creare un lavoro sempre diverso dall’altro, calibrandolo in funzione delle esigenze personali degli sposi e permette alla coppia di evitare l’imbarazzo di trovarsi di fronte degli sconosciuti che puntano l’obiettivo contro. Conoscere meglio la coppia e comprendere bene le loro relazioni con amici e familiari ci permette anche di poter restituire porzioni di realtà, attimi autentici che prendono forma in un bacio, una carezza o uno sguardo di complicità.
Tentare infinite volte di riportare un racconto di matrimonio seguendo un canovaccio didascalico rappresenta per noi la morte della creatività e la fine della passione che ci guida in ogni lavoro che eseguiamo. Per questi motivi non seguiamo una scaletta, non dipingiamo la stessa tela solo con tecnica e monotonia ma cerchiamo in funzione dei fattori condizionanti di raccontare sempre qualcosa di nuovo, di personale, una storia che sia specchio della giornata vissuta con un tocco di originalità e tanta spontaneità.